lunedì 5 aprile 2010

"Lucio Dalla" (1979) - Lucio Dalla (ovvero: non si esce vivi dagli anni ottanta)

Copertina di Lucio Dalla Lucio Dalla

prologo: ho incontrato una simpatica ragazza sul treno ancona bologna, alla quale ho dato una delle mie famose risposte idiote che malcelano la mia storica indole instabile: spero che tu legga questa recensione e che apprezzi, per altro sapere che Dalla ti ha svezzata è un bonus da dodicimila punti a tuo favore, detto questo, per tutti gli altri: il sito di ondarock dedica uno spazio a Dalla davvero ben fatto, il mio è un solito divagare sulle cose che lasciano un qualche segno in me, voi consideratelo appunto come un divertissement. grazie!

In questi giorni mi capita spesso di ascoltare un disco di Lucio Dalla, che si chiama come lui, ed é del settantanove, che in pratica è l'anno prima dei famigerati anni ottanta. Lo intervallo a un disco italiano fatto da uno che si chiama il Sig. Solo, che è un ragazzo di trentanni (oddio, credo qualcosa di più, ma magari ne ha di meno quindi facciamo finta che non ho detto nulla) che suona le tastiere ed ha un approccio che può, con un po' di fantasia, ricordare il Dalla senza reumatismi e artrite. Non credo che si equivalgano artisticamente, anche perché tendo a considerare il Dalla di quegli anni l'unica forma di divinità pagana socialmente accettabile, ma la sensazione che si ha, ascoltando questi due, è che ci sia una sorta di continuità nell'approccio alla costruzione dei pezzi (anche se, lo sottolineo, il modo di cantare e di scrivere è diversissimo, è proprio una questione di attitudine, giusto per evitare che possiate pensare di ritrovarvi a un'operazione di riciclo). E la cosa allora mi ha fatto riflettere sul ruolo del signor Dalla nel magico mondo dei cantautori. E sulla vita. E sul fatto che non mi veniva in mente davvero nulla da scrivere fino a quando non ho assistito al gran brutto concerto in coppia con De Gregori impietosamente trasmesso dalla nostra tivù nazionale (io più che per l'assenza di Luttazzi protesterei per la presenza di costoro). E sul ruolo del destino e della fortuna. E poi ho detto “basta” e mi sono messo a scrivere. Premessa: non voglio essere cinico e dire che l'età conta e che non è vero che puoi fare musica tutta la vita, ma purtroppo devo. Perché sì, ecco, la pensione esiste ed è una cosa buona e in fin dei conti sensata, anche se in fondo piace a pochi (è un fenomeno che rientra nell'ABC della psicanalisi, ma che ve lo dico a fare, voi siete gente colta e accorta, lo avete studiato prima di me e meglio di me). E credo che sia ingiusto vivere in un paese eccessivamente democratico, dove ai cantautori è concesso di fare dischi dopo una certa età. Mi lamento del governo soprattutto in relazione a questo, oltre che all'aumento del prezzo delle sigarette (che per altro fumo di rado). Che poi non si parli di politica in tivù mi spiace, ma sono convinto che se in Italia smettessimo di chiamare Loredana Berté nei talent show e impedissimo a Lucio Dalla di fare ancora dischi le cose andrebbero meglio. Ne guadagnerebbe il nostro senso critico, avremmo rispetto per gli anziani e saremmo molto più tolleranti. E forse rovesceremmo il governo. E invece no. Alla luce dei fatti, Dalla fa dischi postumi anche se ancora respira e l'unica cosa buona che ci resta di lui è nascosta nell'approccio gioioso, sporadicamente ispirato e soprattutto ironico di avvicinarsi alla canzone in alcuni autori nostrani che non sono ancora entrati nella Anta Generation. Che poi alla lunga abbia rotto il cazzo pure quello è vero, ma è un discorso lungo, delicato e scomodo che la mia indole involontariamente democristiana non consente. Pardon, non votatemi e sputatemi, ma pardon. Ma dicevamo di Dalla quand'era giovane e bello. Anzi, solo giovane. Ma neppure, visto che il Dalla di cui parlo aveva tipo 40 anni, mica venti, e neppure trenta come me (quasi), quando realizzava questo album fichissimo, non pago di aver vomitato (credo che chi conosce questo disco mi potrà concedere tranquillamente il termine) una robina che si chiama “Com'é profondo il mare”, che è tipo una delle cose più potenti del cantautorato italiano in generale. Solo che quel disco, per quanto bellissimo, aveva un mood diverso, un fine preciso che probabilmente esulava dal mero intrattenimento, ed è soprattutto un disco di contrapposizione alla realtà circostante, con tutta l'irriverenza per nulla bonaria, per quanto divertente, che permea gran parte delle tracce. In pratica, si può dire che sia stato un disco “combattente” (e non militante, attenzione, le parole sono importanti), un ottimo disco combattente per la precisione, che andrebbe cantato per intero nelle piazze, al posto dei soliti omaggi del cazzo a Rino Gaetano che arrivano in casa nostra durante il primo maggio. Con “Lucio Dalla” si può invece dire che la guerra è finita. Abbandonata la rabbia giovane e ritrovato il bello nelle persone, Dalla mette in scena del materiale da fiction, personaggi senza tratti peculiari così interessanti, non c'è più nulla degli eroici pesci del disco precedente, restano le persone, anzi: la gente. Sembra che Dalla in questo album abbia (in)consciamente carpito quel grande segreto che si cela dietro al mondo, e cioè che gli esseri umani sono sostanzialmente semplici, rispondono a un numero limitato di impulsi e hanno reazioni prevedibili in quanto umane di fronte alle situazioni. Nessuno è speciale nella misura in cui tutti lo sono, insomma, sembra cantare Dalla, con i suoi Anna e Marco i suoi amici a cui spedisce lettere cautamente ottimiste (ma innegabilmente amare, va sottolineato). E dunque anche le sue canzoni, sono semplicemente quelle di un ottimo interprete di sé stesso, l'etichetta di cantautore va bene per i timidi dal ciuffo davanti alla faccia e per giovani tormentati dalla metafora facile. Alla faccia di qualche poeta col trip dell'impegno. In ogni caso, questo è l'aspetto più interessante del disco, a mio parere, dal punto di vista dei testi: da una parte hai il cantautorato (e quindi De Andrè e derivazioni varie), dall'altra gli onesti/disonesti professionisti, quelli che magari non li chiami poeti ma tuttavia riescono a confezionare motivetti orecchiabili e persino piacevoli. Ecco, in mezzo ci sono Dalla e pochi altri. Battiato forse, negli anni ottanta, ma non si può certo dire che non fosse sofisticato. Gaber, ecco lui sì, anche se al centro del lavoro di Gaber viene prevalentemente trattata una problematica in particolare, mentre il Dalla di questo periodo sembra dedicarsi a tutto tranne che a una problematica. In questo si può ritrovare il principale pregio di costui: nella sua unicità in Italia. Anche dal punto di vista musicale, se di invenzione vera e propria non si può parlare, si può notare l'originalità nel modello da imitare: volontariamente o meno, “Lucio Dalla” trasuda funk, va matto per il groove, anticipa senza saperlo l'hip hop, condisce il tutto all'amatriciana e serve in tavola. Curioso che sia stato un gruppo assolutamente superfluo come gli Articolo 31 di “Così com'è” a riportarlo in vita attraverso un featuring negli anni novanta (“L'impresa eccezionale”), mentre più di dieci anni dopo l'operazione più spiccatamente “reverenziale” nei confronti di costui sia invece da attribuirsi a un gruppo rispettato come i Mariposa nella canzone Sudoku (dire che la canzone sia semplicemente e quasi casualmente simile a un pezzo di Dalla è come dire che Shutter Island é il film di un regista distratto che non controlla il genere... ah ma l'hanno detto, ora che ci penso, sono distratto anche io!) Ripeto, questo disco fa bene alla salute, probabilmente non incrementerà la vostra vita sessuale a causa della pessima fama di cui gode Dalla presso le generazioni che lo hanno conosciuto tramite “Attenti al lupo” (come nel mio caso, ad esempio), ma vi farà rivedere probabilmente l'accezione del termine “cantautoriale”, se siete persone intelligenti e senza pregiudizi. Del resto, ci sarà un motivo se voi votate a sinistra e gli altri no, non credete? Ciao.

Ps: Mi sento di segnalarvelo, dato che mi ha dato l'ispirazione a scrivere di ciò e soprattutto mi ha suggerito il sottotitolo agnelliano: il disco del Sig. Solo si chiama “Il centro é commerciale”, lo trovate su i tunes o ai concerti del suddetto, il riferimento a Dalla non è così palese come quello (comunque elegante) a Battisti, ma sono del tutto sicuro che i più attenti di voi non faticheranno a individuarlo. In ogni caso è un disco godibilissimo e leggero, ideale per scrivere recensioni ed sms alla persona cara. Per i rave sull'enterprise bussate alla porta accanto, grazie.