sabato 6 ottobre 2012

Dargen D'Amico - Musica senza musicisti (2006)

Stiamo per parlare di un disco importantissimo, in questa recensione, dal valore storico forse maggiore persino di "Di vizi di forma virtù", per il suo aver eretto un vero e proprio divisorio tra il fare Rap e il fare musica Rap. Entro subito nel vivo evitando lunghe premesse e spero di riuscire a convincere i lettori di due cose fondamentali: la bravura tecnica di Dargen e l'importanza di una concezione artistica. Devo dire che mi trovo in disaccordo con coloro che ravvisano un calo della tecnica nel periodo post Sacre Scuole: da questo disco in poi, Dargen dimostra di aver raggiunto una naturalezza che nessun'altro mc ha (mi prendo questa responsabilità e lo ribadisco: nessuno) e riesce a piazzare i versi dove cavolo vuole lui, la tecnica è assolutamente altissima nonostante il buon JD non si sbudelli troppo per farcelo notare, preferendo legare l'effetto fonetico al relativo significato, con l'eccezione di "Salv army III", che è forse il brano che meno mi convince, nonostante la classe. Sentitevi "La fedina penale" e, soprattutto, "Lo amore per tutti", dove vengono fatte delle cose a mio parere incredibili con una naturalezza e una libertà dal ritmo impressionanti, per capire cosa intendo quando dico che la tecnica è oramai diventata un tutt'uno col significato vero e proprio. Da quest'album in poi va anche detto che l'interpretazione (che nei due dischi successivi, e in particolare in "D'", raggiungerà dei livelli incredibili) diventa elemento fondamentale della tecnica (i fonemi topografici di "Zafferano vulcano siciliano" o la tragicità sentimentale di quel capolavoro che è "Commo una troia" devono quasi tutto a quel parlare biascicato), ed è forse la prima volta che capita di assistere a un uso davvero costruttivo nella voce in un disco Rap. Per intenderci, escluso il Neffa di "107 elementi" e "Chicopisco" (con cui Dargen ha una parentela artistica, a mio parere), non si sono mai sentiti dei testi che andassero ad interessare uno spettro di emozioni così ampio (il testo Rap medio è di solito costruito su di un'interpretazione per lo più rabbiosa e d'impatto, se mi è concesso), ed è forse questo l'elemento più importante di "Musica senza musicisti" e, più in generale, di tutta la produzione di Dargen da solista. Sulla questione relativa ai testi, invece, ci sarebbe moltissimo da dire, ma cercherò di riassumere nella maniera più efficace possibile: nonostante qualche rara punta di egocentrismo ancora latente, Dargen ha la forza e la voglia di parlare di cose strane, di farlo senza scomodare necessariamente la prima persona e di non farsi capire. Esatto, avete capito bene: a volte è semplicemente controproducente cercare di capire con esattezza questo o quel verso, Dargen tende a pronunciarlo in maniera strana o a soffocarlo con effetti e quant'altro, generando una sorta di smarrimento psichedelico (elemento che poi svanirà in "Di vizi di forma virtù" e "D'") che si inserisce perfettamente nel progetto che sta alla base di questo lavoro, pronunciato a chiare lettere nella titletrack: <>. L'impercettibilità di alcuni messaggi è da vedersi come il vero è proprio concept dell'album, la volontà di proporre musica e l'incertezza di poterlo fare come un vero e proprio lavoro sono il corpus principale del sottotesto, laddove il testo principale è una continua provocazione ai cardini della musica Rap, come ad esempio nella discussa analità universale (a metà tra il filosofico e il divertissement, parlato e non rappato). La consapevolezza di avere un concetto alla base di tutto il lavoro è forse l'altra grande forza di Dargen - e dico forse perché il tutto riesce a risultare così naturale da sembrare davvero frutto di un impegno minimo (anche se sei anni di pausa artistica non possono essere casuali). Dargen, per farla breve, a suo moda fa arte. In Italia difficilmente si riesce a considerare l'Hip-Hop come vera e propria arte, abbiamo molti mc's, pochissimi artisti e ancor meno artisti validi; ebbene, questo disco è stato, dopo il mai abbastanza elogiato "Chicopisco", il lavoro più coraggioso e ingenuamente provocatorio di tutto il Rap italiano, non il migliore dei lavori di Dargen (anche se probabilmente quello più tecnico dal punto di vista del flow), ma sicuramente una tappa fondamentale per chi scrive, persino più della fase cantautoriale dei due album successivi (a proposito, ritengo "D'" un capolavoro), che risultano essere più maturi ma meno di rottura. A chiunque sia a corto di idee, lo consiglio. Ah, dimenticavo una cosa fondamentale: la musica! Ce n'è tanta, non è sempre perfetta, in alcuni casi è un po' troppo incasinata, ma ha un pregio: è originale, nessuno ha mai avuto il cattivo gusto/coraggio di rappare su ritmi del genere che, per la maggior parte, vi lasceranno perplessi; ma non lasciatevi ingannare e tralasciate pure quella, è un disco di Dargen, dopotutto, dovete prendere il pacchetto intero e provare a capire come mai certe cose risultano credibili solo se messe in mano a lui. Non c'è votazione, ma ha il mio 9, lo dico a titolo infomativo.

(da Rapmaniacz)

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