Che Virzì sia, o sia
stato, un regista importante per il cinema di larga fruizione (perché
di questo si tratta, ricordiamocelo, senza ovviamente dare al termine
un'accezione negativa) non è cosa da mettere in dubbio. É stato
autore di uno dei più acclamati racconti di formazione del nostro
cinema degli ultimi 20 anni e ha sempre affrontato in maniera
intelligente temi attuali con il tono della commedia leggera.
Filologicamente corretto e al contempo apocrifo nei confronti della
commedia all'italiana e della nobile tradizione che questo genere ha,
si è sempre mosso su un binario che da un lato tiene d'occhio la
tradizione e dall'altra ama divincolarsi da essa, dando una sbirciata
a quello che succede nel resto del mondo. Il cinema di Virzì è però
un cinema moderno e contemporaneo, nonostante il consueto contatto
con la tradizione, non solo nei mezzi espressivi adottati, ma anche
nella scelta dei temi, e quest'ultima opera non smentisce tale
tendenza. Pur rimanendo un film sull'amore con la A maiuscola in
superficie, è la precarietà il vero e proprio oggetto della messa
in scena di Virzì. Non stiamo parlando di una precarietà meramente
lavorativa, ma esistenziale, tipica di questi anni zero e humus
principale della caratterizzazione dei due protagonisti: Thony,
cantante mai realizzata, e Guido, mancato studioso ed eterno
studente. Attorno a loro gira il mondo ubriaco di normalità, con le
sue insistenti domande sulla precaria situazione di Thony e Guido,
con la pornografica esposizione della propria stabilità (le
inquadrature di famiglie felici attorno alla coppia si susseguono in
maniera quasi oscena). L'idea di base sarebbe anche buona, non
proprio originalissima ma potenzialmente potrebbe portare a un'ottima
pellicola per palati non troppo raffinati. Sfortunatamente le piccole
cadute di stile sono davvero tante, non sufficienti a fare di tutta
l'opera un gigantesco tonfo, siamo d'accordo, ma ci sono. Si parte
innanzitutto da una eccessiva semplificazione dei caratteri, di
stampo quasi televisivo, con una spartizione tra normali e anomali, o
anche tra e simpatici e antipatici (si vedano il “ginecologo del
papa” e la dottoressa scherzosa), che ha del puerile; la
caratterizzazione dei due protagonisti è fin troppo basata su
autentici tic che scattano puntualmente in determinate situazioni (la
questione della lingua forbita di lui, ad esempio, o la timidezza di
lei nei confronti della propria musica), lasciando in effetti
intravedere ben poco della vera essenza delle loro figure; ci sono
poi figure comprimarie semplicemente abbozzate e molto spesso davvero
inutili (la gag del giapponese ubriaco e sessuomane, ad esempio,
resta tuttora un mistero per me), infilate a forza per strappare un
sorriso o per giustificare questo o quell'evento; c'è anche un
momento onirico (il dialogo intrauterino tra Guido e gli embrioni che
lui vede già come suoi figli) che non sembra nemmeno appartenere al
cinema di Virzì; più in generale, per evitare di tediare il lettore
con un inutile elenco, il problema di base del film è nella
scrittura poco controllata e a tratti imprecisa, soprattutto nella
tranche finale del film, quei venti minuti che seguono l'amara
scoperta della mancata gravidanza di lei, in cui la sceneggiatura si
concede fin troppe licenze per portare il lavoro a una conclusione
“happy” (nel senso ovosodico del termine). Il senso che si prova
è spesso quello di una certa inconsistenza nella trama (la
storiellina è piuttosto fragile, e forse il tono della commedia non
è dei più indicati), e del disperato tentativo di rendere leggero
qualcosa di profondamente amaro, con il risultato di creare un
qualcosa che non solo “non va né su né giù”, come il regista
vorrebbe, ma non lascia in bocca nemmeno un qualche gusto. Positive
restano la fotografia e la prova dei due attori (anche se il
personaggio di Guido è intrappolato da una caratterizzazione
fumettistica, mentre a quello di Thony è offerta una maggiore
libertà, scelta probabilmente dettata dallo status di attrice non
professionista), diretti decisamente bene. Nella media,
semplicemente, la colonna sonora e piuttosto forzati i riferimenti
“indie” sparsi nel corso della pellicola. Concludendo, un Virzì
minore, leggermente confuso, quasi frettoloso.
venerdì 26 ottobre 2012
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento